Alcuni Ricercatori del Politecnico di Milano hanno messo a punto un sistema di telechirurgia mini-invasiva che permette ai chirurghi di operare a distanza e proteggersi da eventuali infezioni in tempi di Covid-19
Il progetto della telechirurgia, a cui hanno partecipato anche studiosi dell’Università della Calabria e dell’Istituto Europeo di Oncologia, prefigura un futuro in cui interventi, analisi e formazione degli specialisti potranno essere realizzati anche a grandi distanze.
Quando si parla di chirurgia assistita dai robot il sistema Da Vinci è il primo che viene in mente a chi mastica un po’ l’argomento.
Sviluppato dalla società statunitense Intuitive a partire dal 1995 e introdotto sul mercato nel 2000, è ben presto diventato la piattaforma di riferimento, utilizzata in tutto il mondo.
In Italia ne esistono un centinaio di esemplari, che richiedono, per quanto il suo impiego sia intuitivo (come suggerisce il nome del produttore), chirurghi formati e soprattutto allenati al suo utilizzo.
Da Vinci è un sistema composto da quattro bracci attrezzati con strumenti e con una telecamera per operare in laparoscopia e da una console dotata di comandi a joystick che consentono al chirurgo di azionare le appendici meccaniche della macchina.
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Una configurazione, però, che in tempi di Covid-19 potrebbe esporre il chirurgo al contagio, nel caso in cui il paziente abbia contratto la malattia.
COMANDI DA REMOTO
Da qui l’idea, nata inizialmente dalle riflessioni di un gruppo di studenti del Politecnico di Milano, e in particolare del DEIB, il Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria: mettere a punto comandi remoti che consentano ai chirurghi di operare da una posizione sicura, senza però compromettere la salute del paziente e la manovrabilità estrema dello strumento
A spiegarci in che cosa consiste questa innovazione è Elena De Momi, professore associato di Bioingegneria elettronica e Informatica e tra i fondatori del Near Lab, laboratorio di neuroingegneria e robotica medica creato nel 2008 nell’ateneo milanese e confluito dal 2020 nei Leonardo Labs.
“Da tempo”, spiega Elena De Momi, “stavamo lavorando su un’interfaccia innovativa del robot Da Vinci, basata su manipolatori di nuova concezione, più leggeri e utilizzabili da remoto, in modo svincolato dalla console del sistema.
Ragionando su come il Covid-19 abbia un impatto anche sulla sicurezza in sala operatoria abbiamo pensato a una soluzione innovativa e realizzato una soluzione che, attraverso la connessione con un cavo di rete lungo una cinquantina di metri, consenta di utilizzare il Da Vinci in sicurezza”.
Utilizzando un visore indossabile e manipolatori più agili, il team del Politecnico di Milano ha così realizzato un sistema che consente di riprodurre gli stessi movimenti della piattaforma originaria.
ANALISI A DISTANZA
“I vantaggi di una configurazione di questo tipo”, spiega De Momi, “sono molteplici e si estendono al di là della pura chirurgia.
Con una soluzione del genere diventa teoricamente possibile, infatti, non soltanto operare a distanza, ma anche condurre analisi da remoto, come le endoscopie, senza che il paziente debba lasciare la propria regione.
Aprendo la possibilità di estendere cure a luoghi privi di una sanità efficiente o anche a luoghi remoti, come le basi di ricerca antartiche”.
Al progetto hanno collaborato anche ricercatori di altri atenei.
La parte di elaborazione delle immagini, per esempio, è stata sviluppata grazie alle competenze del Dipartimento di Matematica e Informatica dell’Università della Calabria.
La stretta collaborazione con chirurghi dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano ha fornito feedback utili sullo sviluppo della soluzione.
Ulteriori possibili sviluppi si rivelano, inoltre, molto promettenti.
Cosa succederebbe infatti se, in luogo di un lungo cavo di rete, la connessione fosse garantita dal 5G, e quindi con la possibilità di trasmettere una grande quantità di dati a distanza?
Potrebbe avverarsi l’idea della telechirurgia, la possibilità cioè per gli specialisti di operare pazienti di tutto il mondo senza muoversi dal loro ospedale.
Uno strumento fantastico per democratizzare la sanità, rendere cure e trattamenti di primo livello accessibili in tutto il mondo, anche nei paesi più arretrati.
Anche nella formazione ci sarebbero vantaggi, con la possibilità per i neo-specializzati di essere seguiti con mentoring a distanza. A
L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE
E per quanto riguarda i problemi tecnici? Non ci sarebbe il rischio di problemi di latenza nel caso di invio di dati su lunghe distanze?
“In realtà”, osserva De Momi, “il problema non sta tanto nella trasmissione del segnale di comando, ma delle immagini, che vengono compresse per essere inviate e poi devono essere decompresse per essere visualizzate.
Nuovi metodi di compressione e decompressione consentono però oggi di velocizzare enormemente queste operazioni”.
Un problema ulteriore potrebbe essere la temporanea caduta di segnale, ma anche su questa eventualità i ricercatori milanesi stanno lavorando, anche sulla base di uno spunto fornito da colleghi del Dipartimento di Informatica dell’Università di Verona e, in particolare, dal professor Paolo Fiorini che è un altro punto di riferimento in Italia per la chirurgia assistita da robot, attento in particolare ai temi del training attraverso software dei chirurghi che utilizzano il Da Vinci.
“L’idea”, spiega De Momi, “è sopperire a un’eventuale assenza di segnale rendendo parzialmente autonomo il sistema robotico, che potrebbe quindi, grazie all’ausilio di intelligenza artificiale come il machine learning, proseguire quanto avviato dal chirurgo”.
Soluzioni di intelligenza artificiale applicata ai robot per la chirurgia sono già state testate, anche se mai utilizzate direttamente sui pazienti.
Sono invece adottate in radiochirurgia, su strumenti in grado di focalizzare il trattamento in un punto preciso del corpo del paziente compensando automaticamente i movimenti del respiro.
Al momento, però, non si pensa a robot in grado di condurre in modo totalmente indipendente un intervento, ma di un’intelligenza artificiale in grado di “potenziare” le capacità del chirurgo.
“Per esempio”, dice De Momi, “sistemi di sicurezza o in grado di segnalare eventuali imprevisti e anche sistemi di visione capaci, grazie a filtri o sensori particolari, di vedere cose invisibili all’occhio umano”.
Il tema dell’autonomia dei robot, e non solo quelli usati in chirurgia, è del resto ampiamente dibattuto, e non solo nella comunità scientifica. “La soluzione”, conclude De Momi, “come indica anche un importante documento della Commissione Europea su etica e intelligenza artificiale, è che l’uomo venga sempre coinvolto nel processo, secondo il principio definito human-in-the-loop”.
In definitiva, se l’uomo è sempre presente e ha piena supervisione di ciò che fa il robot, l’eventuale autonomia della macchina non può fare paura.
Al Near Lab del Politecnico di Milano si lavora quotidianamente in questi termini, nel laboratorio di neuroingegneria e robotica medica, confluito nei più ampi Leonardo Labs, dalla cui ricerca è scaturita la nuova soluzione per la telechirurgia.